Lia Pantani e Giovanni Surace insegnano nelle Accademie di Belle Arti di Bologna e di Firenze.
Collaborano dal 1995 e da allora indossano le vesti di contemporanei alchimisti interessati alla processualità delle cose e alla mutevolezza dei fenomeni naturali, come le infiltrazioni di umidità che affiorano dall’intonaco, che nell’opera Ti Amo diventano un messaggio d’amore. Nelle loro opere, quasi sempre intensamente legate alla fisicità e alla storia dell’ambiente espositivo, è sempre presente un ritmo fluttuante, una mutazione di stato (da solido a gassoso, da tattile ad evanescente): una trasformazione che genera nuovo senso. Il tempo gioca pertanto un ruolo fondamentale nella loro produzione, il consumarsi, l’esaurirsi o il modificarsi in una nuova forma nega la reiterazione dell’esperienza e cristallizza il transitorio: un’estetica dell’instabilità in grado di far cogliere l’unicità di un attimo.
Talvolta è lo stesso spettatore che mette in moto un processo di cambiamento; in Non spiegatemi perché la pioggia si trasforma in grandine i coriandoli in terracotta colorata che coprono come un tappeto il pavimento, modellati e appiattiti manualmente uno per uno, rivelano il loro segreto nell’atto del calpestamento: nel momento in cui si spezzano liberano le loro note ed emettono uno scricchiolio autunnale. Anche affrontando il tema del riflesso e del rispecchiamento Pantani-Surace ci restituiscono immagini solide e al contempo liquide. I due artisti capaci di trattenere sulla superficie dello specchio lo scorrere dell’acqua poco prima che si disperda nel suo percorso naturale, deformano e moltiplicano l’immagine riflessa tramite la sovrapposizione di pellicole che si gonfiano in bolle irregolari, creando un cortocircuito visivo e tattile.